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CLAUSOLA PENALE E IMPOSTA DI REGISTRO


Locazioni - Fisco
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LA CLAUSOLA PENALE NEL CONTRATTO DI LOCAZIONE
L’aver concordato in un contratto di locazione una clausola penale con cui regolamentare unicamente le conseguenze pecuniarie di un eventuale inadempimento, non consente all’Ufficio di individuare tale pattuizione come un negozio a sé stante assoggettabile ad imposta di registro in maniera distinta dal contratto principale. Sono le osservazioni rese dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, sentenza n. 2231/2020.
Con diversi avvisi di rettifica e liquidazione di imposta di registro, la contribuente veniva assoggettata al tributo in misura fissa, oltre che a interessi e sanzioni, sulla scorta della presenza, in un contratto di locazione dalla stessa stipulato, di una clausola penale. Si doleva tuttavia, con i motivi di ricorso, che al caso di specie non potesse applicarsi l’imposta come liquidata dall’ufficio, dovendosi tenere invece conto del disposto dell’art. 21 del Dpr 131/1986 secondo il quale se un atto contiene più disposizioni che derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, l’imposta si applica come se l’atto contenesse la sola disposizione che dà luogo alla imposizione più onerosa.
L’Agenzia al contrario riteneva corretto il proprio operato dal momento che l’atto impugnato indicava tanto i presupposti di fatto quanto le ragioni giuridiche della pretesa, individuabili nell’omesso versamento degli importi afferenti la clausola penale e nell’irrogazione delle sanzioni e del recupero di interessi per la tardiva registrazione del contratto di locazione.
La Ctp milanese ha invece accolto le ragioni della contribuente ritenendo la clausola penale come non configurante un autonomo negozio ma un mero rafforzamento del vincolo contrattuale a fronte dell’eventuale avverarsi di un determinato accadimento. Con la stessa, infatti, si regolamentano le condizioni pecuniarie, ovvero interessi e sanzioni a fronte di un inadempimento o inesatto adempimento del canone di locazione, ma senza che essa possa distinguersi come obbligazione del tutto autonoma e distintamente tassabile. A supporto di tale interpretazione i giudici richiamano l’art. 1282 del Codice Civile, che rappresenta quella clausola come una fonte eventuale di risarcimento del danno contrattuale a fronte dell’inadempimento di uno dei due contraenti, ancor più qualificandosi come clausola accessoria e non come autonomo negozio.