Notizie
BRAVURA E FORTUNA
Fuori campo - dalla redazione della proprietà immobiliare
Argomenti diversi
Così diceva Cesare Pavese: sostenere che i nostri successi ci sono impartiti dalla provvidenza (e non dall'astuzia) è un'astuzia di più per aumentare ai nostri occhi l'importanza di questi successi (“il mestiere di vivere”, Cesare Pavese, 1938). È facile esaltare l'esito positivo di una nostra opera, segnandola alla benevolenza divina che sostiene e suggella il nostro agire. In verità, si tratta della falsa umiltà (o dell’ipocrisia), una degenerazione morale che alloggia in tanti e che suscita indignazione, a ragione o a torto, nella concezione cristiana.
Già nel quinto secolo A.C. il tragico greco Eschilo nelle Coefore scriveva che “il successo tra i mortali è un Dio anzi più di un Dio”.
Tutti siamo proiettati verso quel Dio e quella meta (che promette benessere e felicità), ma si tratta di una prospettiva fragile, talvolta effimera. Alla prospettiva della meta come divinità (o totem) da adorare a ogni costo – ci insegna la cultura cristiana - si contrappone la drammaticità della caduta.
Occorre dunque essere capaci di autocritica e di realismo. Occorre distaccarsi dal materialismo e dedicare spazio a noi stessi, all'introspezione alle vere mete che vale la pena di perseguire. D'altra parte un trono, visto da dietro (cioè da un altro punto di vista), non è altro che un assemblaggio di legni (Honorè de Balzac).